30 lug 2012

“Sette”, “antisette”, “setta degli antisette”, “aiuto” e altre riflessioni (quarta parte)


La “setta antisette” italiana

In anni recenti, anche in Italia si è cominciato a (ri)parlare di “setta antisette”. Il primo a riportare in auge il termine fu forse Mario Aletti, psicologo della religione, nel 2008.

Come ho scritto nella terza parte, per me il 2008 fu un vero spartiacque. La primavera si annunciò con un fatto per me inaudito, incomprensibile, impensabile. A fine marzo di quell’anno, la Dott.ssa Di Marzio, studiosa di fama internazionale di nuovi movimenti religiosi, venne inquisita e si vide porre il suo sito sotto sequestro giudiziario. Il motivo? Aveva iniziato uno studio preliminare su quel che restava di Arkeon, un movimento che i media e gli “antisette” italiani dipingevano come la più estesa psicosetta mai esistita in Italia [1] e sui cui dirigenti la Procura di Bari aveva aperto un’indagine. (La studiosa è stata poi totalmente scagionata e il suo fascicolo archiviato per insussistenza di notizia di reato; recentemente è stata emessa la sentenza di primo grado del processo che ha visto coinvolti diversi dirigenti del movimento Arkeon).

Alcuni mesi prima avevo approntato una pagina di “Allarme Scientology” in cui invitavo i miei lettori a fare una piccola donazione a una delle associazioni che elencavo (tra cui ARIS, CeSAP, FAVIS e alcune altre). Avevo infatti ricevuto parecchie offerte di contributo per la gestione del mio sito e avevo ritenuto più opportuno dirottare quelle offerte sulle “associazioni di aiuto”. Fu in virtù di questa disponibilità che avevo loro dimostrato, e ai rapporti di cordialità e collaborazione che intrattenevo con alcune di loro, che alla notizia del procedimento contro la Di Marzio inviai una mail per informarle dell’accaduto, invitandole a esprimere la loro solidarietà pubblica alla studiosa.

A fronte di otto associazioni contattate, mi risposero in due (nessuna tra quelle appena citate). Entrambe mi dissero che per prendere una decisione di quel tipo dovevano convocare l’assemblea dei soci. La risposta mi lasciò perplessa perché sapevo che nessuna di quelle organizzazioni ha un numero tale di soci da necessitare di un'assemblea. Si tratta infatti di associazioni a gestione pressoché familiare dove le decisioni vengono prese dai fondatori/dirigenti.

In quel periodo si stava poi finendo di organizzare il convegno internazionale FECRIS di Pisa alla cui realizzazione avevo anche io contribuito, nel mio piccolo. Nei diversi mesi precedenti mi ero infatti prestata come traduttrice e interprete, e al convegno avrei avuto qualche mansione di accoglienza; un aiuto che mi sentivo di offrire alle associazioni italiane che promuovevano l’incontro.

Nei giorni immediatamente successivi il provvedimento contro la Di Marzio mi incontrai con alcuni esponenti delle associazioni a cui rinnovai l’invito a pronunciarsi su quell’evento gravissimo. La risposta mi lasciò sconcertata: a loro dire, la Di Marzio se l’era cercata; sapeva che quel gruppo era una “setta pericolosa”, che era sotto indagine, che la magistratura aveva “sciolto il gruppo” e lei non si sarebbe dovuta impicciare; l’aveva fatto e s’era presa il dovuto. Fine del discorso.

Feci presente che esistono un paio di articoli della Costituzione (17 e 18) decisamente in contrasto con quanto mi stavano dicendo e chiesi se per caso qualcuno avesse visto con i suoi occhi quell’ordine di scioglimento del movimento, ma nessuno l’aveva visto. Basavano le loro affermazioni su quanto riferito dalla Dott.ssa Tinelli del CeSAP la quale, mi dissero, stava collaborando con la Procura di Bari per “incastrare” Arkeon. Feci altre domande per saggiare la loro conoscenza diretta di quel caso e del gruppo stesso, di cui mai avevo sentito parlare in precedenza. La fonte era una sola, quella già citata.

Feci presente che le accuse contro la Di Marzio erano surreali e parossistiche: la si tacciava infatti di essere la “guru in pectore” del gruppo, di averlo “ricompattato”, di essere parte di una “associazione per delinquere” finalizzata a una serie di delitti infamanti, di avere intimidito i testimoni e altro ancora. Quand’anche la studiosa avesse sbagliato a partecipare a un incontro (lecito) con alcuni affiliati ad Arkeon e le loro famiglie, ciò non giustificava quel tipo di accuse e il sequestro giudiziario del suo sito. Ma mi trovai davanti il classico muro di gomma. Sembravano incapaci di distinguere i diversi piani del discorso.

Sapevo da anni che la Di Marzio era malvista in certi ambienti. Infatti, nel 2000 la studiosa aveva lasciato il GRIS, l’associazione “antisette” dei vescovi italiani di cui per anni aveva gestito il capitolo romano. Sempre in quell’anno, aveva accettato la proposta di collaborazione del CESNUR per la redazione della Enciclopedia delle Religioni in Italia. Negli anni successivi aveva continuato a collaborare, aveva portato relazioni ai convegni internazionali CESNUR, aveva partecipato a iniziative congiunte con Introvigne (fondatore del CESNUR). In ambito “antisette” Introvigne viene considerato un “amico e complice delle sette”, a loro volta rappresentate come un “cancro sociale” [2]. Agli occhi di alcune persone, collaborare con lui significa essere come lui e guadagnarsi il medesimo stigma. Per questo motivo, la Di Marzio era passata in breve tempo da “eroina dell’antisettarismo” (per gli articoli molto critici che aveva scritto su Introvigne) a “amica delle sette” (per aver accettato di collaborare con lui).

Da anni in ambiente “antisette” circolavano chiacchiere e pettegolezzi maligni su di lei. In quegli anni, mi ero vista costretta più volte a dover difendere la mia scelta di non ostracizzarla, di non unirmi al coro di cattiverie e pettegolezzi, di mantenere immutata la stima nei suoi confronti.

I discorsi “amico/nemico” non mi sono mai piaciuti. Se considero qualcuno un nemico significa che è in corso una guerra e se qualcuno è “amico” del mio “nemico” allora dovrei considerare nemico pure lui. Allo stesso modo, dovrei considerare amico il “nemico del mio nemico”, indipendentemente da tutto il resto.

Se qualcuno mantiene posizioni su cui non concordo non per questo lo considero un nemico. Posso al più confrontarmi dialetticamente, contestare quelle posizioni e, trattandosi di un campo – quello delle “sette” – in cui tutti a nostro modo ci sentiamo esperti di qualcosa, allora quel confronto deve essere portato in un’arena comune: ad articolo si controbatte con un articolo, come aveva appunto fatto la Di Marzio con Introvigne e in altre circostanze.

Ma quando chiedevo ai rappresentanti delle associazioni “antisette” che cosa di preciso contestassero alla Di Marzio (o a Introvigne), su quali articoli o passaggi si trovassero in disaccordo e per quale motivo, calava il silenzio. Nessuno sembrava essersi nemmeno preoccupato di leggere i loro libri o articoli. Introvigne aveva criticato il “movimento antisette”, perciò veniva considerato un “amico delle sette” e un loro nemico. La Di Marzio era sua “amica” e questo chiudeva il cerchio.

Nei mesi successivi al marzo 2008 e negli anni a venire, accaddero parecchie altre cose spiacevoli e inquietanti, troppo lunghe da elencare qui. Ma la questione “Di Marzio”, l’approvazione di quell’abnorme avviso di garanzia visto come giusta punizione per essersi impicciata, i silenzi sempre più numerosi e assordanti in merito a certe questioni, l’ostracismo crescente nei miei confronti e, per finire, un documento ufficiale di fine 2008 in cui i dirigenti di un paio di associazioni presentavano in modo del tutto erroneo e fuorviante, direi menzognero, un certo evento della primavera precedente, mi spinsero a riflettere sul significato del termine “setta” e a chiedermi se, per caso, non avessi anche io a che fare con una “setta": quella degli "antisette”.

Nel prossimo capitolo: Le credenze della “setta antisette” italiana.


Note:

1. "Potrebbero essere decine e decine le vittime nella provincia di Fermo", Maurizio Alessandrini; "Arkeon: un caso esemplare di ‘psicosetta’ in Italia", Lorita Tinelli; "una delle sette più attive in Italia, Arkeon", Carmine Gazzanni.

2. Così definite da Maurizio Alessandrini, presidente e fondatore della FAVIS, in una intervista del settembre 2011.


27 lug 2012

“Sette”, “antisette”, “setta degli antisette”, “aiuto” e altre riflessioni (terza parte)

La mia esperienza personale

Per me il 2008 fu un vero spartiacque; gli eventi di quell’anno, a cui accennerò in seguito, mi costrinsero a schiacciare l’acceleratore su una serie di riflessioni iniziate già alcuni anni prima.

Io “nasco” come “antisette”. C’è stato anche chi, senza conoscermi, senza avermi mai parlato, senza sapere chi fossi e che cosa avessi dentro, mi ha definita “terrorista antisette estremo”.

Entrata nel mondo di Internet nel 1997, mi imbattei subito in diversi articoli che riguardavano la Chiesa di Scientology, a cui ero stata affiliata per un paio d’anni oltre due lustri prima. Avevo lasciato il movimento perché non mi aveva dato ciò che cercavo. Come molte altre migliaia di persone in Italia e nel mondo, avevo fatto l’esperienza, non l’avevo trovata di particolare utilità – ma sicuramente dispendiosa – e me ne ero andata. Il distacco era stato privo di traumi, non avevo subito particolari pressioni a restare, non ero stata molestata per la mia scelta di dire basta. Però durante i miei quasi due anni di affiliazione avevo subito pressioni di varia natura, il movimento mi era parso avere un volto nascosto, diverso da quello che presentava ai neofiti, avevo visto contraddizioni e altre cose che non mi piacevano. Avevo vissuto effettivi tentativi di farmi modificare la mia visione del mondo e il mio modo di affrontarlo, tentativi che mi avevano infastidita e a cui avevo visto cedere altre persone, forse meno sicure di se stesse di quanto lo fossi io.

Quando nel 1997 trovai in Internet tutti quegli articoli in inglese su Scientology, che sembravano dare risposte ragionevoli al disagio che avevo provato durante la mia esperienza, cominciai a condividere quegli assunti e mi convinsi della fondatezza delle accuse di manipolazione e di “plagio”.

Anche io, per alcuni anni, ho sposato quelle teorie e ho condiviso “l’odio antisette” nei confronti dei cosiddetti “apologeti delle sette”. Come ogni “antisette” che si rispetti, anche io avevo le mie “bibbie”: i libri di Steven Hassan e di Margaret Singer.

La gestione del sito “Allarme Scientology” mi aveva frattanto messa in contatto con molte persone, tra cui anche degli ex membri di Scientology. Se alcuni condividevano la mia impostazione “antisette”, altri la criticavano. Fu con loro che iniziai i confronti più serrati e stimolanti. E fu grazie a loro che cominciai a riflettere su molti aspetti dell’affiliazione a gruppi sicuramente autoritari e ad “alte pretese” come Scientology.

Le cose non erano così semplici come l’ipotesi “plagio” lasciava a intendere. I miei interlocutori erano senz’altro d’accordo con me sulle pressioni, sui tentativi di manipolazione, sul controllo sociale all’interno del gruppo. Forse in assenza di quelle pressioni la loro piena adesione al movimento sarebbe stata più lenta e ragionata. Le pressioni avevano forse affrettato un percorso che avrebbe richiesto piu' riflessione, ma la decisione di aderire c'era a prescindere da quelle pressioni, e non si consideravano affatto dei “plagiati”. Il motivo per cui avevano aderito a Scientology e avevano proseguito per tempi variabili (in alcuni casi anche parecchio lunghi) non era il “plagio”. Il motivo era che per un certo periodo della loro vita, Scientology aveva effettivamente ed efficacemente risposto alle loro richieste e aspettative, aveva dato loro ciò che stavano cercando.

Avere la possibilità di confrontarmi con idee ed esperienze moderate fu per me molto importante. Il mondo non era a due dimensioni:

1. non esisteva un unico motivo di affiliazione (“il plagio”);
2. non esisteva un unico motivo di abbandono (il “risveglio dalla trance ipnotica”).

Fu in quei primi anni 2000 che iniziai a leggere con maggior attenzione la letteratura prodotta dai cosiddetti “apologeti delle sette”. Nel 2001 decisi di partecipare al convegno organizzato dal CESNUR a Londra ed ebbi modo di ascoltare e di apprezzare parecchie relazioni di quegli studiosi che ancora consideravo “difensori delle sette”. (Avevo partecipato anche al convegno CESNUR di Torino del 1998, ma all’epoca ero troppo impreparata per capire anche solo di che cosa si stesse parlando.)

Nel 2006 e nel 2007 ebbi occasione, grazie all’ARIS Veneto, di essere presente al convegno annuale della FECRIS – la Federazione Europea che raggruppa i “movimenti antisette” del Vecchio Continente. Ebbi anche modo di presentare una mia relazione, oltre che di guardarmi intorno, di osservare, di ascoltare, di “tastare il polso” dell’ambiente e di fare paragoni con i due convegni CESNUR a cui avevo partecipato nel 1998 e nel 2001.

Sempre nel 2007 decisi di partecipare al convegno internazionale ICSA (International Cultic Studies Association) che quell’anno si teneva a Bruxelles. Anche in quell’occasione ebbi modo di guardarmi attorno, di osservare, di ascoltare, di fare paragoni con le precedenti esperienze.

Per me quel convegno fu sicuramente illuminante per una serie di motivi, il più importante dei quali era che per la prima volta non avevo l’impressione che si stesse “giocando in casa”. Non era certamente un raduno di “apologeti delle sette”, come avevo (a posteriori posso dire erroneamente) interpretato i convegni del CESNUR. Ma non era nemmeno un raduno di “antisette” autoreferenziali, come avevo (a tutt’oggi dico giustamente) vissuto quelli della FECRIS. Le opinioni espresse dai vari relatori del convegno ICSA erano le più svariate. Si andava dalle relazioni di studi scientifici congiunti tra dipartimenti universitari europei e orientali, ai racconti di esperienze di prima mano. I relatori non erano soltanto “freddi teorici”, ma c’erano anche rappresentanti di enti che operano sul territorio, che stanno “in trincea”, a contatto con le problematiche della gente comune. E c’erano i laboratori: spazi speciali riservati agli ex membri e ai familiari.

Fu ad uno di essi che per la prima volta sentii parlare di mediazione. Dello sforzo di mediazione che le associazioni potevano fare nei casi di conflitto tra famiglia, seguace di un gruppo “ad alte pretese” e gruppo stesso. E c’erano i dirigenti di alcuni gruppi controversi che potevano muoversi e interagire apertamente, senza bisogno di “infiltrarsi” o di nascondersi. Quel convegno si dimostrò un luogo di incontro e di confronto tra istanze e prospettive diverse.

Forte di quella “illuminazione”, sull’aereo che mi riportava in Italia maturai una decisione importante. Se volevo anche solo approssimarmi alla comprensione di un mondo così complesso e variegato come quello dei Nuovi Movimenti Religiosi avevo bisogno di maggior conoscenza teorica, di mettere della sana teoria sotto l’esperienza “sul campo” maturata in quegli anni. Le “bibbie anticult” erano sufficienti per chi coltiva il pensiero unico. Ma per me non erano più sufficienti. Ragionai sul fatto che l’unico luogo in cui potevo perseguire una istruzione multidisciplinare e scientifica era l’università.

Erano i primi di luglio del 2007; la decisione, sicuramente impegnativa per una donna di 49 anni che aveva smesso di studiare 30 anni prima, era presa. Si trattava solo di scegliere l’indirizzo accademico da intraprendere e di valutare la lunghezza del passo in ragione della gamba.

Inizialmente, i due indirizzi più promettenti mi parvero sociologia o psicologia. Ma valutata l’offerta formativa dei vari atenei non troppo lontani da casa, decisi di abbandonare i propositi iniziali e di scegliere “Scienze dell’Educazione” dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Il programma comprendeva diversi esami di psicologia, di sociologia, di pedagogia, di criminologia, di antropologia, di storia, di diritto, ecc., una infarinatura di tutte quelle scienze umane e sociali fondamentali per allargare i propri orizzonti. Nel 2010 ho conseguito la laurea triennale.

Gli studi fatti in quei tre intensissimi anni mi hanno fatto capire che ciò che mi interessava veramente non erano la sociologia, la psicologia, la pedagogia. Erano piuttosto l’antropologia culturale e sociale. I nuovi movimenti religiosi sono a tutti gli effetti dei gruppi sociali e culturali che preferivo approcciare con la “cassetta degli attrezzi” propria delle discipline antropologiche: l’osservazione partecipante, la ricerca qualitativa, la comparazione, la traduzione, l’interpretazione.

Oggi sono iscritta al corso specialistico di antropologia del mondo contemporaneo. Più studio, più mi rendo conto di quanto poco so, di quanto avevo la presunzione di sapere con quel paio di “bibbie” anticult e autoreferenziali. In fondo, la lezione più importante che ho appreso in questi anni di università, dal confronto continuo con docenti, saperi diversi e giovani colleghi è proprio questa: l’ignoranza è una pessima consigliera ed è motivo di intolleranza e di settarismo.

È la nostra stessa storia di genere umano a dircelo. Là dove c’è ignoranza, c’è settarismo. C’è divisione, ci sono rifiuto e ostracismo dell’altro, di chi porta idee diverse. C’è xenofobia. Conoscere non significa giustificare, scadere in un relativismo culturale che tutto accoglie. Significa piuttosto cercare di comprendere e anche la possibilità di criticare ciò che si è cercato di comprendere, ma che non si condivide.

Nel prossimo capitolo: La "setta antisette" italiana.







24 lug 2012

“Sette”, “antisette”, “setta degli antisette”, “aiuto” e altre riflessioni (seconda parte)

Dopo l’esplosione statunitense, i nuovi movimenti religiosi arrivarono anche in Italia e con loro arrivarono le istanze e l’ideologia del “movimento antisette” americano [1]. In Italia venne aperto il primo gruppo “antisette”, il Comitato per la Liberazione dei Giovani dal Settarismo (poi trasformato in Associazione di Ricerca e Informazione sulle Sette, ARIS) a cui cominciarono a rivolgersi genitori preoccupati in cerca di aiuto. E anche in Italia, grazie agli specialisti fatti venire appositamente dall’America, si cominciarono a sequestrare “adepti delle sette” per cercare di “deprogrammarli”.

È storicamente documentato almeno un caso in cui degli attivisti ARIS cercarono (non riuscendoci) di “deprogrammare” una giovane praticante italiana di Scientology, con l’aiuto dell’americano Ted Patrick. La ragazza denunciò i rapitori; il caso si chiuse con una archiviazione.

Frattanto, in America il dibattito tra movimenti “antisette” da una parte e studiosi di nuovi movimenti religiosi dall’altra, vide una escalation. I primi accusavano gli studiosi di essere conniventi e complici delle “sette” perché negavano che il processo di affiliazione ai nuovi movimenti fosse diverso dalla conversione ai gruppi maggioritari, ossia frutto di un convincimento personale; negavano che gli episodi di manipolazione mentale o influenza fossero diversi da quelli riscontrabili in ogni altro gruppo sociale; rigettavano l’ipotesi del "lavaggio del cervello" (plagio); difendevano il diritto di libertà religiosa.

Gli articoli di quegli studiosi venivano spesso citati dai movimenti tacciati di essere “sette abusanti” che “plagiavano i propri membri”. Agli occhi degli “antisette” e con un tipico ragionamento circolare, questo dimostrava che gli accademici erano conniventi con le "sette".

Gli studiosi sostenevano che i movimenti “antisette” erano ascientifici, che non utilizzavano gli strumenti della scienza sociale, che non producevano studi e letteratura scientifici, che risocializzavano chi si rivolgeva a loro a una ideologia non meno totalizzante, che parecchi episodi di deprogrammazione finiti in tribunale avevano evidenziato abusi e violenze non diversi da quelli che gli “antisette” attribuivano alle “sette”, che generavano panici morali anche grazie a una stampa desiderosa di “sangue” che loro stessi foraggiavano con racconti dell’orrore, che a volte erano stati i loro comportamenti intransigenti e le loro informazioni fuorvianti a scatenare conflitti, abusi e tragedie: in sostanza, che quei movimenti “antisette” tenevano comportamenti settari.

A sostegno delle proprie argomentazioni, gli studiosi produssero una corposa letteratura scientifica: in breve, i gruppi antisette potevano essere definiti “setta antisette” (anticult-cult).

La “guerra contro le sette” americana vide la deposizione delle armi solo alla fine anni ’90. Gli scienziati sociali ben sanno che il confronto e il dibattito, anche accesi, sono il vero carburante delle loro discipline, che in quanto umane e sociali sono aperte e intellettualmente inclini alla polemica. Non si tratta di accumulo di sapere, ma di un corpus di conoscenze ed esperienze che condividono una base comune e in cui il dibattito è sempre aperto. La proposta teorica non è infallibile, tutto è provvisorio. Alcune visioni possono essere meglio argomentate e meglio esposte e gli stessi fatti, interrogati in modo diverso, possono dare risultati diversi. Se gli studiosi schierati sul campo degli “antisette” sostenevano certe teorie, era loro dovere portare risultati scaturiti da studi fatti secondo i protocolli della scienza sociale. (Nell’ultimo capitolo del libro “Nuove religioni e sette”, Raffaella Di Marzio illustra la difficoltà di approntare strumenti di ricerca adeguati e lo stato della ricerca.)

A indurre alcuni “antisette” americani a un generale ripensamento fu in particolare l’analisi degli archivi del Cult Awarness Network, resa possibile dalla bancarotta di quella che all’epoca era l’associazione “antisette” più nota e organizzata d’America. A mandare in fallimento l’associazione era stato un caso giudiziario che aveva visto coinvolto un giovane seguace di una congregazione pentecostale rapito e sottoposto a un tentativo di “deprogrammazione” piuttosto violenta. Il tribunale gli riconobbe un sostanzioso risarcimento e condannò i colpevoli, tra cui il CAN [2]. A seguito della dichiarazione di bancarotta, l’archivio del CAN venne messo all’asta e acquistato da un privato, che a sua volta lo mise a disposizione di alcuni studiosi (tra cui Anson Shupe e Susan E. Darnell). I risultati di quell’analisi furono impietosi e permisero di evidenziare una lunga serie di abusi [3].

A partire dalla fine degli anni ’90, esponenti della American Family Foundation (oggi ICSA), altra grande associazione “antisette” americana, e del CESNUR (il centro studi fondato dal torinese Massimo Introvigne, che gli “antisette” americani consideravano [e gli europei ancora considerano] “amico delle sette”) cominciarono a portare ai rispettivi convegni internazionali le loro relazioni e conclusioni. Al convegno CESNUR di Londra del 2001 la Prof.ssa Eileen Barker della London School of Economics, collaboratrice del CESNUR e fondatrice dell’inglese INFORM, presentò una importante relazione sulla possibile collaborazione tra studiosi e i “Cult-Watching Groups”. Da allora, i convegni annuali internazionali dei due istituti vedono la partecipazione attiva e la presentazione di relazioni di “portatori di prospettive e interrogativi diversi”; hanno preso avvio un confronto dialettico e delle forme di collaborazione che non possono che avere effetti positivi sulla conoscenza.

E in Italia? In Europa?

Anche in questo caso, arriviamo con i soliti due decenni di ritardo. Mentre in America si cominciava a riflettere su un dibattito che aveva sempre più i toni della guerra - perdendo di vista l’obiettivo vero delle scienze sociali - e si iniziavano a deporre le armi, in Europa e in Italia i toni si esacerbavano. Al centro del dibattito, ormai portato dagli “antisette” italiani a livello di organi repressivi dello Stato [4] e della magistratura, siamo ancora fermi alla vecchia diatriba “complici delle sette/setta degli antisette”.

Note:

1. Questo articolo spiega i collegamenti tra i movimenti antisette americani ed europei e le modalità di importazione delle teorie del "lavaggio del cervello" nel Vecchio Continente.

2. «Nel riconoscere il risarcimento danni a Scott, la giuria fu molto chiara. L’attività principale del CAN, come questo e altri casi avevano rivelato, era fornire ai media e ad altri interessati opinioni false e/o sensazionalistiche sotto forma di “informazione” sulle minoranze religiose. Tutte, o quasi tutte queste “informazioni” erano dispregiative e coerenti con gli obiettivi del CAN: “educare” il pubblico a ritenere che diversi nuovi movimenti religiosi (NRM) sono “sette distruttive”, che tutti i loro membri sono perciò “vittime di setta” e “plagiati” e sono pertanto in pericolo, bisognosi di “soccorso”. La decisione della giuria [...] fu che il CAN era in realtà una campagna organizzata di odio. Il CAN descriveva le sue attività in modo eufemistico affinché, da una prospettiva di libertà civili, le sue attività apparissero meno immorali. Il motivo per cui il CAN restò coinvolto nella causa Scott fu perché, coerentemente con il suo modello organizzativo, serviva da canale di riferimento verso i deprogrammatori coercitivi (che in seguito il CAN definì “exit counselor”) che in cambio di un onorario rapiscono [i seguaci] e durante la [loro] detenzione arringano i familiari all’apostasia religiosa.» (“CAN, We Hardly Knew Ye: Sex, Drugs, Deprogrammers’ Kickbacks, and Corporate Crime in the (old) Cult Awareness Network”, Shupe. A., Darnell, S.E., 2000, SSSR).
Il medesimo procedimento giudiziario vide anche la condanna di Rick Ross, che si era occupato del rapimento e del tentativo di deprogrammazione di Scott.

3. Ancora un passo dalla relazione di Shupe e Darnell prima citata:
«In quale misura il CAN e la sua organizzazione “consorella” American Family Foundation siano stati “gruppi di odio” come definiti dalla legge dello Stato di Washington o dai criteri etnico-razziali della sociologia, è oggetto di dibattito. [...] Sicuramente entrambi quei movimenti antisette hanno proposto immagini stereotipate e parziali e un linguaggio che ha infiammato le persone a compiere azioni estreme. Altrettanto sicuramente, sia il CAN che la AFF hanno per lo meno promosso una facciata professionale che, a livello popolare, sembra appartenere più all’ambito scientifico che all’incitazione all’odio. Tale apparente “normalizzazione” della loro ira contro i nuovi movimenti religiosi è, secondo [Barbara Perry], una tendenza moderna dei gruppi di odio [...] negli Stati Uniti l’‘hate movement’ [movimento d’odio] ha assunto un volto nuovo e moderno. La forza del movimento contemporaneo di odio sta nella sua capacità di rimpacchettare il proprio messaggio in modo da renderlo più accettabile, e nella sua capacità di sfruttare i punti di intersezione tra se stesso e i canoni ideologici prevalenti. In breve, il movimento d’odio sta cercando di posizionarsi all’interno della cultura e della politica di maggioranza degli Stati Uniti.” »

4. Per esempio con la creazione nel 2006 di una “squadra antisette” della polizia, i cui referenti privilegiati sono i rappresentanti delle “associazioni antisette”, i quali a loro volta segnalano alla polizia chi mantiene posizioni diverse dalle loro, si veda per esempio qui, qui, qui.



23 lug 2012

“Sette”, “antisette”, “setta degli antisette”, “aiuto” e altre riflessioni (prima parte)

L’argomento è senz’altro complicato e una delle complicazioni sta nel fatto che definire con precisione che cosa vada inteso per “setta” pare un compito impossibile. Si direbbe trattarsi di un “termine contenitore”, che ognuno riempie con la sua emotività individuale.

Lo Zingarelli definisce una setta come un:
Gruppo di persone che professano una particolare dottrina politica, filosofica, religiosa e sim., in contrasto o in opposizione a quella riconosciuta o professata dai più.
Da queste parole si può desumere che alla base della “setta” c’è una ideologia non condivisa dalla maggioranza. L’etimologia stessa della parola rimanda a due termini latini: secare [dividere] e sequor [adesione attiva a una fede o a un’idea].

Gli “antisette”

Se “setta” è un gruppo che segue e difende dottrine in contrasto o opposizione con quelle riconosciute e professate dai più, gli “antisette” dovrebbero essere coloro che, riconoscendosi nel pensiero di maggioranza, si oppongono al pensiero “deviante”, non conforme.

La sociologia ha a lungo discusso di forme socializzative e dei concetti di conformità/devianza. Parsons riteneva che la socializzazione fosse strettamente legata al processo di controllo sociale. Per questo i comportamenti non conformi, cioè devianti, possono essere percepiti come patologici (da curare) o criminali (da punire). Altre visioni (es. Luckman e Merton) distinguono tra devianza vera e propria e non-conformismo. Il secondo viene identificato con la ribellione, con la contestazione della cultura di maggioranza allo scopo di cambiarla. Ha a che fare con il conflitto e il mutamento sociale. Il deviante in senso stretto sarebbe invece chi non contesta le norme sociali che viola con il suo comportamento.

Breve carrellata storica su “sette” e “antisette” odierni

Con il secondo dopoguerra il mondo occidentale vide proliferare una varietà di gruppi di matrice diversa da quella cristiana mainstream, che seppero catalizzare lo scontento e l’incertezza soprattutto dei giovani.

La Seconda Guerra Mondiale non aveva comportato soltanto la distruzione materiale di intere nazioni, ma anche il crollo di convinzioni e ideologie (es. la perdita di ogni certezza sulla natura razionale dell’uomo): se nonostante la nobiltà della logica aristotelica e del pensiero cristiano mainstream il mondo occidentale era sprofondato prima nel fascismo e nel nazismo, poi in quella guerra e a quel livello di distruzione e di barbarie, allora quelle dottrine andavano abbandonate (o quantomeno, modificate).

Con l’Europa impegnata nella ricostruzione, quei nuovi gruppi religiosi o filosofici “alternativi” ebbero inizialmente successo soprattutto negli Stati Uniti. Maestri di discipline orientali, rivisitazione e riscoperta di dottrine esoteriche occidentali e mediorientali, cristiani rinati, gruppi di “auto-aiuto” e del “potenziale umano”, “figli dei fiori” ed esperienze psichedeliche; il mercato della nuova spiritualità cominciò a prosperare.

Mentre i più adulti si rivolgevano ai gruppi di matrice cristiana a forte componente carismatica e al movimento revivalista, i più giovani erano maggiormente attratti da forme del tutto alternative di credenza.

I genitori vedevano i loro figli, cresciuti e socializzati nella tradizione religiosa dei padri, cambiare più o meno repentinamente il loro orientamento, abbandonare gli studi e unirsi a gruppi spirituali che loro non comprendevano. I conflitti familiari aumentavano e a volte i giovani tagliavano i ponti con il passato e con la famiglia. Nacquero così i primi gruppi “antisette”, fondati da genitori e parenti preoccupati, che vedevano nel gruppo a cui il figlio aveva aderito, ossia nella “setta”, la causa di tutto il male. Per loro, quella devianza era patologica e criminogena, quando non apertamente criminale. Andava medicalizzata e contrastata. A quei genitori si unirono presto degli ex membri delusi e arrabbiati che cominciarono a narrare storie di orrori e atrocità.

Alcuni autori iniziarono ad applicare a quei nuovi gruppi spirituali, definiti “sette religiose”, le teorie della manipolazione-controllo mentale. Secondo loro, quella del "lavaggio del cervello" (plagio) era l’unica spiegazione per la conversione a sistemi di credenza giudicati “assurdi” e “fuori della norma”, cioè devianti.

Il passo verso la formulazione dell’assunto successivo fu breve: se l’unica spiegazione possibile di quelle conversioni era la coercizione mentale, allora era imperativo “salvare” quei ragazzi dalle “grinfie” della “pericolosa setta” che ne aveva fatto delle “prede” per i suoi “loschi propositi”.

Diveniva urgente aiutare quei giovani a recuperare il “sé-prima-della-setta”, la “personalità vera” contrapposta alla “pseudopersonalità”, per usare la terminologia cara agli “antisette” (anti-cult). Una pseudo personalità creata dalla “setta” con le sue “sofisticate tecniche di manipolazione mentale”, all’unico fine di «sottomettere gli adepti e creare in loro uno stato permanente di dipendenza dal leader del gruppo».

Se la “setta” aveva “plagiato” quei giovani, se li aveva “programmati”, allora bisognava “deprogrammarli” affinché rientrassero nella conformità, nel pensiero maggioritario che la “setta” li aveva “costretti” ad abbandonare.

Le prime forme di “deprogrammazione” utilizzate in ambito “antisette” erano violente e prevedevano il rapimento e il sequestro della “vittima della setta”; a volte anche abusi fisici e sessuali.

I deprogrammatori più noti furono Ted Patrick e Rick Ross. Questa modalità coercitiva venne poi abbandonata in favore di un processo altrettanto persuasivo ma apparentemente meno cruento chiamato “exit counselling”, che però mantiene le basi ideologiche della “deprogrammazione”. (Qui un’analisi delle diverse tipologie di “antisette” e dei loro riferimenti teorici e ideologici.)

L’applicazione delle teorie del "lavaggio del cervello" e del “menticidio” (plagio) alle “sette religiose”, l’allarmismo diffuso dalle associazioni “antisette”, i racconti degli ex membri delusi ed episodi oggettivi di orrore come il massacro di Jonestown, oltre al determinante ruolo svolto dai media, portarono con sé un’accezione e percezione sempre più negativa e criminalizzante dei gruppi spirituali genericamente definiti “sette”, indipendentemente da ciò che essi realmente facevano o professavano. Se erano “sette”, allora facevano il "lavaggio del cervello". Se facevano il "lavaggio del cervello", allora i loro membri erano in assoluto e imminente pericolo e andavano aiutati, salvati, mentre le “sette” dovevano essere monitorate e possibilmente dissolte. Sicuramente stigmatizzate e ostracizzate dall’opinione pubblica.

È per questo carattere di crescente negatività e criminalizzazione del termine “setta” (cult) che molti autori, in particolare i sociologi della religione, si batterono per il suo abbandono e l’adozione dei più neutrali “nuovo movimento religioso” e “minoranza religiosa”.