24 lug 2012

“Sette”, “antisette”, “setta degli antisette”, “aiuto” e altre riflessioni (seconda parte)

Dopo l’esplosione statunitense, i nuovi movimenti religiosi arrivarono anche in Italia e con loro arrivarono le istanze e l’ideologia del “movimento antisette” americano [1]. In Italia venne aperto il primo gruppo “antisette”, il Comitato per la Liberazione dei Giovani dal Settarismo (poi trasformato in Associazione di Ricerca e Informazione sulle Sette, ARIS) a cui cominciarono a rivolgersi genitori preoccupati in cerca di aiuto. E anche in Italia, grazie agli specialisti fatti venire appositamente dall’America, si cominciarono a sequestrare “adepti delle sette” per cercare di “deprogrammarli”.

È storicamente documentato almeno un caso in cui degli attivisti ARIS cercarono (non riuscendoci) di “deprogrammare” una giovane praticante italiana di Scientology, con l’aiuto dell’americano Ted Patrick. La ragazza denunciò i rapitori; il caso si chiuse con una archiviazione.

Frattanto, in America il dibattito tra movimenti “antisette” da una parte e studiosi di nuovi movimenti religiosi dall’altra, vide una escalation. I primi accusavano gli studiosi di essere conniventi e complici delle “sette” perché negavano che il processo di affiliazione ai nuovi movimenti fosse diverso dalla conversione ai gruppi maggioritari, ossia frutto di un convincimento personale; negavano che gli episodi di manipolazione mentale o influenza fossero diversi da quelli riscontrabili in ogni altro gruppo sociale; rigettavano l’ipotesi del "lavaggio del cervello" (plagio); difendevano il diritto di libertà religiosa.

Gli articoli di quegli studiosi venivano spesso citati dai movimenti tacciati di essere “sette abusanti” che “plagiavano i propri membri”. Agli occhi degli “antisette” e con un tipico ragionamento circolare, questo dimostrava che gli accademici erano conniventi con le "sette".

Gli studiosi sostenevano che i movimenti “antisette” erano ascientifici, che non utilizzavano gli strumenti della scienza sociale, che non producevano studi e letteratura scientifici, che risocializzavano chi si rivolgeva a loro a una ideologia non meno totalizzante, che parecchi episodi di deprogrammazione finiti in tribunale avevano evidenziato abusi e violenze non diversi da quelli che gli “antisette” attribuivano alle “sette”, che generavano panici morali anche grazie a una stampa desiderosa di “sangue” che loro stessi foraggiavano con racconti dell’orrore, che a volte erano stati i loro comportamenti intransigenti e le loro informazioni fuorvianti a scatenare conflitti, abusi e tragedie: in sostanza, che quei movimenti “antisette” tenevano comportamenti settari.

A sostegno delle proprie argomentazioni, gli studiosi produssero una corposa letteratura scientifica: in breve, i gruppi antisette potevano essere definiti “setta antisette” (anticult-cult).

La “guerra contro le sette” americana vide la deposizione delle armi solo alla fine anni ’90. Gli scienziati sociali ben sanno che il confronto e il dibattito, anche accesi, sono il vero carburante delle loro discipline, che in quanto umane e sociali sono aperte e intellettualmente inclini alla polemica. Non si tratta di accumulo di sapere, ma di un corpus di conoscenze ed esperienze che condividono una base comune e in cui il dibattito è sempre aperto. La proposta teorica non è infallibile, tutto è provvisorio. Alcune visioni possono essere meglio argomentate e meglio esposte e gli stessi fatti, interrogati in modo diverso, possono dare risultati diversi. Se gli studiosi schierati sul campo degli “antisette” sostenevano certe teorie, era loro dovere portare risultati scaturiti da studi fatti secondo i protocolli della scienza sociale. (Nell’ultimo capitolo del libro “Nuove religioni e sette”, Raffaella Di Marzio illustra la difficoltà di approntare strumenti di ricerca adeguati e lo stato della ricerca.)

A indurre alcuni “antisette” americani a un generale ripensamento fu in particolare l’analisi degli archivi del Cult Awarness Network, resa possibile dalla bancarotta di quella che all’epoca era l’associazione “antisette” più nota e organizzata d’America. A mandare in fallimento l’associazione era stato un caso giudiziario che aveva visto coinvolto un giovane seguace di una congregazione pentecostale rapito e sottoposto a un tentativo di “deprogrammazione” piuttosto violenta. Il tribunale gli riconobbe un sostanzioso risarcimento e condannò i colpevoli, tra cui il CAN [2]. A seguito della dichiarazione di bancarotta, l’archivio del CAN venne messo all’asta e acquistato da un privato, che a sua volta lo mise a disposizione di alcuni studiosi (tra cui Anson Shupe e Susan E. Darnell). I risultati di quell’analisi furono impietosi e permisero di evidenziare una lunga serie di abusi [3].

A partire dalla fine degli anni ’90, esponenti della American Family Foundation (oggi ICSA), altra grande associazione “antisette” americana, e del CESNUR (il centro studi fondato dal torinese Massimo Introvigne, che gli “antisette” americani consideravano [e gli europei ancora considerano] “amico delle sette”) cominciarono a portare ai rispettivi convegni internazionali le loro relazioni e conclusioni. Al convegno CESNUR di Londra del 2001 la Prof.ssa Eileen Barker della London School of Economics, collaboratrice del CESNUR e fondatrice dell’inglese INFORM, presentò una importante relazione sulla possibile collaborazione tra studiosi e i “Cult-Watching Groups”. Da allora, i convegni annuali internazionali dei due istituti vedono la partecipazione attiva e la presentazione di relazioni di “portatori di prospettive e interrogativi diversi”; hanno preso avvio un confronto dialettico e delle forme di collaborazione che non possono che avere effetti positivi sulla conoscenza.

E in Italia? In Europa?

Anche in questo caso, arriviamo con i soliti due decenni di ritardo. Mentre in America si cominciava a riflettere su un dibattito che aveva sempre più i toni della guerra - perdendo di vista l’obiettivo vero delle scienze sociali - e si iniziavano a deporre le armi, in Europa e in Italia i toni si esacerbavano. Al centro del dibattito, ormai portato dagli “antisette” italiani a livello di organi repressivi dello Stato [4] e della magistratura, siamo ancora fermi alla vecchia diatriba “complici delle sette/setta degli antisette”.

Note:

1. Questo articolo spiega i collegamenti tra i movimenti antisette americani ed europei e le modalità di importazione delle teorie del "lavaggio del cervello" nel Vecchio Continente.

2. «Nel riconoscere il risarcimento danni a Scott, la giuria fu molto chiara. L’attività principale del CAN, come questo e altri casi avevano rivelato, era fornire ai media e ad altri interessati opinioni false e/o sensazionalistiche sotto forma di “informazione” sulle minoranze religiose. Tutte, o quasi tutte queste “informazioni” erano dispregiative e coerenti con gli obiettivi del CAN: “educare” il pubblico a ritenere che diversi nuovi movimenti religiosi (NRM) sono “sette distruttive”, che tutti i loro membri sono perciò “vittime di setta” e “plagiati” e sono pertanto in pericolo, bisognosi di “soccorso”. La decisione della giuria [...] fu che il CAN era in realtà una campagna organizzata di odio. Il CAN descriveva le sue attività in modo eufemistico affinché, da una prospettiva di libertà civili, le sue attività apparissero meno immorali. Il motivo per cui il CAN restò coinvolto nella causa Scott fu perché, coerentemente con il suo modello organizzativo, serviva da canale di riferimento verso i deprogrammatori coercitivi (che in seguito il CAN definì “exit counselor”) che in cambio di un onorario rapiscono [i seguaci] e durante la [loro] detenzione arringano i familiari all’apostasia religiosa.» (“CAN, We Hardly Knew Ye: Sex, Drugs, Deprogrammers’ Kickbacks, and Corporate Crime in the (old) Cult Awareness Network”, Shupe. A., Darnell, S.E., 2000, SSSR).
Il medesimo procedimento giudiziario vide anche la condanna di Rick Ross, che si era occupato del rapimento e del tentativo di deprogrammazione di Scott.

3. Ancora un passo dalla relazione di Shupe e Darnell prima citata:
«In quale misura il CAN e la sua organizzazione “consorella” American Family Foundation siano stati “gruppi di odio” come definiti dalla legge dello Stato di Washington o dai criteri etnico-razziali della sociologia, è oggetto di dibattito. [...] Sicuramente entrambi quei movimenti antisette hanno proposto immagini stereotipate e parziali e un linguaggio che ha infiammato le persone a compiere azioni estreme. Altrettanto sicuramente, sia il CAN che la AFF hanno per lo meno promosso una facciata professionale che, a livello popolare, sembra appartenere più all’ambito scientifico che all’incitazione all’odio. Tale apparente “normalizzazione” della loro ira contro i nuovi movimenti religiosi è, secondo [Barbara Perry], una tendenza moderna dei gruppi di odio [...] negli Stati Uniti l’‘hate movement’ [movimento d’odio] ha assunto un volto nuovo e moderno. La forza del movimento contemporaneo di odio sta nella sua capacità di rimpacchettare il proprio messaggio in modo da renderlo più accettabile, e nella sua capacità di sfruttare i punti di intersezione tra se stesso e i canoni ideologici prevalenti. In breve, il movimento d’odio sta cercando di posizionarsi all’interno della cultura e della politica di maggioranza degli Stati Uniti.” »

4. Per esempio con la creazione nel 2006 di una “squadra antisette” della polizia, i cui referenti privilegiati sono i rappresentanti delle “associazioni antisette”, i quali a loro volta segnalano alla polizia chi mantiene posizioni diverse dalle loro, si veda per esempio qui, qui, qui.



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