27 lug 2012

“Sette”, “antisette”, “setta degli antisette”, “aiuto” e altre riflessioni (terza parte)

La mia esperienza personale

Per me il 2008 fu un vero spartiacque; gli eventi di quell’anno, a cui accennerò in seguito, mi costrinsero a schiacciare l’acceleratore su una serie di riflessioni iniziate già alcuni anni prima.

Io “nasco” come “antisette”. C’è stato anche chi, senza conoscermi, senza avermi mai parlato, senza sapere chi fossi e che cosa avessi dentro, mi ha definita “terrorista antisette estremo”.

Entrata nel mondo di Internet nel 1997, mi imbattei subito in diversi articoli che riguardavano la Chiesa di Scientology, a cui ero stata affiliata per un paio d’anni oltre due lustri prima. Avevo lasciato il movimento perché non mi aveva dato ciò che cercavo. Come molte altre migliaia di persone in Italia e nel mondo, avevo fatto l’esperienza, non l’avevo trovata di particolare utilità – ma sicuramente dispendiosa – e me ne ero andata. Il distacco era stato privo di traumi, non avevo subito particolari pressioni a restare, non ero stata molestata per la mia scelta di dire basta. Però durante i miei quasi due anni di affiliazione avevo subito pressioni di varia natura, il movimento mi era parso avere un volto nascosto, diverso da quello che presentava ai neofiti, avevo visto contraddizioni e altre cose che non mi piacevano. Avevo vissuto effettivi tentativi di farmi modificare la mia visione del mondo e il mio modo di affrontarlo, tentativi che mi avevano infastidita e a cui avevo visto cedere altre persone, forse meno sicure di se stesse di quanto lo fossi io.

Quando nel 1997 trovai in Internet tutti quegli articoli in inglese su Scientology, che sembravano dare risposte ragionevoli al disagio che avevo provato durante la mia esperienza, cominciai a condividere quegli assunti e mi convinsi della fondatezza delle accuse di manipolazione e di “plagio”.

Anche io, per alcuni anni, ho sposato quelle teorie e ho condiviso “l’odio antisette” nei confronti dei cosiddetti “apologeti delle sette”. Come ogni “antisette” che si rispetti, anche io avevo le mie “bibbie”: i libri di Steven Hassan e di Margaret Singer.

La gestione del sito “Allarme Scientology” mi aveva frattanto messa in contatto con molte persone, tra cui anche degli ex membri di Scientology. Se alcuni condividevano la mia impostazione “antisette”, altri la criticavano. Fu con loro che iniziai i confronti più serrati e stimolanti. E fu grazie a loro che cominciai a riflettere su molti aspetti dell’affiliazione a gruppi sicuramente autoritari e ad “alte pretese” come Scientology.

Le cose non erano così semplici come l’ipotesi “plagio” lasciava a intendere. I miei interlocutori erano senz’altro d’accordo con me sulle pressioni, sui tentativi di manipolazione, sul controllo sociale all’interno del gruppo. Forse in assenza di quelle pressioni la loro piena adesione al movimento sarebbe stata più lenta e ragionata. Le pressioni avevano forse affrettato un percorso che avrebbe richiesto piu' riflessione, ma la decisione di aderire c'era a prescindere da quelle pressioni, e non si consideravano affatto dei “plagiati”. Il motivo per cui avevano aderito a Scientology e avevano proseguito per tempi variabili (in alcuni casi anche parecchio lunghi) non era il “plagio”. Il motivo era che per un certo periodo della loro vita, Scientology aveva effettivamente ed efficacemente risposto alle loro richieste e aspettative, aveva dato loro ciò che stavano cercando.

Avere la possibilità di confrontarmi con idee ed esperienze moderate fu per me molto importante. Il mondo non era a due dimensioni:

1. non esisteva un unico motivo di affiliazione (“il plagio”);
2. non esisteva un unico motivo di abbandono (il “risveglio dalla trance ipnotica”).

Fu in quei primi anni 2000 che iniziai a leggere con maggior attenzione la letteratura prodotta dai cosiddetti “apologeti delle sette”. Nel 2001 decisi di partecipare al convegno organizzato dal CESNUR a Londra ed ebbi modo di ascoltare e di apprezzare parecchie relazioni di quegli studiosi che ancora consideravo “difensori delle sette”. (Avevo partecipato anche al convegno CESNUR di Torino del 1998, ma all’epoca ero troppo impreparata per capire anche solo di che cosa si stesse parlando.)

Nel 2006 e nel 2007 ebbi occasione, grazie all’ARIS Veneto, di essere presente al convegno annuale della FECRIS – la Federazione Europea che raggruppa i “movimenti antisette” del Vecchio Continente. Ebbi anche modo di presentare una mia relazione, oltre che di guardarmi intorno, di osservare, di ascoltare, di “tastare il polso” dell’ambiente e di fare paragoni con i due convegni CESNUR a cui avevo partecipato nel 1998 e nel 2001.

Sempre nel 2007 decisi di partecipare al convegno internazionale ICSA (International Cultic Studies Association) che quell’anno si teneva a Bruxelles. Anche in quell’occasione ebbi modo di guardarmi attorno, di osservare, di ascoltare, di fare paragoni con le precedenti esperienze.

Per me quel convegno fu sicuramente illuminante per una serie di motivi, il più importante dei quali era che per la prima volta non avevo l’impressione che si stesse “giocando in casa”. Non era certamente un raduno di “apologeti delle sette”, come avevo (a posteriori posso dire erroneamente) interpretato i convegni del CESNUR. Ma non era nemmeno un raduno di “antisette” autoreferenziali, come avevo (a tutt’oggi dico giustamente) vissuto quelli della FECRIS. Le opinioni espresse dai vari relatori del convegno ICSA erano le più svariate. Si andava dalle relazioni di studi scientifici congiunti tra dipartimenti universitari europei e orientali, ai racconti di esperienze di prima mano. I relatori non erano soltanto “freddi teorici”, ma c’erano anche rappresentanti di enti che operano sul territorio, che stanno “in trincea”, a contatto con le problematiche della gente comune. E c’erano i laboratori: spazi speciali riservati agli ex membri e ai familiari.

Fu ad uno di essi che per la prima volta sentii parlare di mediazione. Dello sforzo di mediazione che le associazioni potevano fare nei casi di conflitto tra famiglia, seguace di un gruppo “ad alte pretese” e gruppo stesso. E c’erano i dirigenti di alcuni gruppi controversi che potevano muoversi e interagire apertamente, senza bisogno di “infiltrarsi” o di nascondersi. Quel convegno si dimostrò un luogo di incontro e di confronto tra istanze e prospettive diverse.

Forte di quella “illuminazione”, sull’aereo che mi riportava in Italia maturai una decisione importante. Se volevo anche solo approssimarmi alla comprensione di un mondo così complesso e variegato come quello dei Nuovi Movimenti Religiosi avevo bisogno di maggior conoscenza teorica, di mettere della sana teoria sotto l’esperienza “sul campo” maturata in quegli anni. Le “bibbie anticult” erano sufficienti per chi coltiva il pensiero unico. Ma per me non erano più sufficienti. Ragionai sul fatto che l’unico luogo in cui potevo perseguire una istruzione multidisciplinare e scientifica era l’università.

Erano i primi di luglio del 2007; la decisione, sicuramente impegnativa per una donna di 49 anni che aveva smesso di studiare 30 anni prima, era presa. Si trattava solo di scegliere l’indirizzo accademico da intraprendere e di valutare la lunghezza del passo in ragione della gamba.

Inizialmente, i due indirizzi più promettenti mi parvero sociologia o psicologia. Ma valutata l’offerta formativa dei vari atenei non troppo lontani da casa, decisi di abbandonare i propositi iniziali e di scegliere “Scienze dell’Educazione” dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Il programma comprendeva diversi esami di psicologia, di sociologia, di pedagogia, di criminologia, di antropologia, di storia, di diritto, ecc., una infarinatura di tutte quelle scienze umane e sociali fondamentali per allargare i propri orizzonti. Nel 2010 ho conseguito la laurea triennale.

Gli studi fatti in quei tre intensissimi anni mi hanno fatto capire che ciò che mi interessava veramente non erano la sociologia, la psicologia, la pedagogia. Erano piuttosto l’antropologia culturale e sociale. I nuovi movimenti religiosi sono a tutti gli effetti dei gruppi sociali e culturali che preferivo approcciare con la “cassetta degli attrezzi” propria delle discipline antropologiche: l’osservazione partecipante, la ricerca qualitativa, la comparazione, la traduzione, l’interpretazione.

Oggi sono iscritta al corso specialistico di antropologia del mondo contemporaneo. Più studio, più mi rendo conto di quanto poco so, di quanto avevo la presunzione di sapere con quel paio di “bibbie” anticult e autoreferenziali. In fondo, la lezione più importante che ho appreso in questi anni di università, dal confronto continuo con docenti, saperi diversi e giovani colleghi è proprio questa: l’ignoranza è una pessima consigliera ed è motivo di intolleranza e di settarismo.

È la nostra stessa storia di genere umano a dircelo. Là dove c’è ignoranza, c’è settarismo. C’è divisione, ci sono rifiuto e ostracismo dell’altro, di chi porta idee diverse. C’è xenofobia. Conoscere non significa giustificare, scadere in un relativismo culturale che tutto accoglie. Significa piuttosto cercare di comprendere e anche la possibilità di criticare ciò che si è cercato di comprendere, ma che non si condivide.

Nel prossimo capitolo: La "setta antisette" italiana.







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